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Giornata del coming out, la situazione nei 64 Paesi dove essere gay è illegale
GIORNATA DEL COMING OUT

Giornata del coming out, la situazione nei 64 Paesi dove essere gay è illegale

Sono ancora tanti gli Stati che tra Asia, Africa e parte dell’America condannano coloro che hanno rapporti omosessuali consenzienti.

In Iran e Arabia Saudita si rischia la pena di morte e in molti altri c’è la possibilità di passare la vita in prigione, di essere frustati, di essere costretti ai lavori forzati e anche di dover subire un trattamento psichiatrico obbligatorio, come in Dominica.

Questo nonostante l’omosessualità sia stata derubricata dall’Oms dalla classificazione delle psicopatologie già dal 1990.

Ancora oggi in 64 Paesi del mondo essere gay è illegale e può portare alla prigione e, in alcuni casi, anche ad essere frustati e trattati a livello sanitario. C’è di più: come evidenzia il report di ILGA World, in alcuni Stati, come Iran e Arabia Saudita, è prevista anche la pena di morte. Va però ricordato come, anche se in molti Paesi gli atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso sono legali, la stigmatizzazione sociale delle persone percepite come non eterosessuali o non cisgender resti oltre i livelli di guardia. Anche per questo è nata la giornata mondiale del coming out, festeggiata ogni 11 ottobre dal 1988, quando negli Stati Uniti, grazie allo psicologo Robert Eichberg e alla politica e attivista LGBT Jean O’Leary, fu scelto questo giorno per ricordare la cosiddetta “Grande Marcia”, celebrata a Washington nel 1987 per chiedere i diritti per le persone lesbiche e gay. Diritti che però, in diverse zone del mondo, rimangono ancora preclusi.

La situazione in Africa

Come rileva ILGA World, la maggior parte dei Paesi in Africa criminalizza l’omosessualità: sono infatti ben 32 su 54 quelli che la puniscono con la prigione e una condanna spesso non definita. Tra questi ci sono l’Egitto, l’Etiopia, la Namibia, la Somalia ed Eswatini. Anche i Paesi del Nordafrica puniscono il cosiddetto coming out: si passa dai tre anni di Marocco e Tunisia ai 2 dell’Algeria fino ai 5 della Libia. Tra le pene più gravi c’è il rischio di passare l’intera vita in prigione, come nel caso di coloro che abitano in Sudan, Gambia, Sierra Leone, Tanzania, Uganda e Zambia, o di essere frustati, come in Nigeria dove già vige la possibilità di passare 21 anni in carcere.

La situazione in America

Situazione tesa anche in alcune zone del continente americano, dove ci sono Paesi che ancora oggi non accettano il coming out. Per la maggior parte gli stati del Golfo caraibico.

Uno di questi è ad esempio la Guyana, dove la denuncia di rapporti sessuali tra persone dello stesso genere può portare a passare l’intera vita in prigione.

Non va meglio in Paesi come la

  • Giamaica (10 anni o i lavori forzati); la
  • Grenada (10 anni).
  • Saint Lucia (10 anni).
  • Dominica dove, oltre al rischio di passare 10 anni in carcere, c’è anche la possibilità di dover subire un trattamento psichiatrico obbligatorio.

Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia derubricato l’omosessualità dalla classificazione delle psicopatologie già dal 1990.

La situazione in Asia

Non va meglio la situazione in Asia, dove quasi il 50% (ben 20 su 42) sono i Paesi che puniscono l’omosessualità.

Tra le punizioni peggiori si registrano quelle inflitte in Paesi come Iran e Arabia Saudita, dove si rischia la pena di morte, la permanenza in carcere può essere sconosciuta e in aggiunta c’è anche la fustigazione.

Stessa punizione presente anche in Yemen, dove l’alternativa sono 3 anni di carcere.

Gravi anche i rischi che corrono coloro che denunciano rapporti omosessuali consensuali in Pakistan, dove si può passare la vita in prigione, e soprattutto in Afghanistan che ha ripristinato la legge della Sharia dal ritorno dei Talebani a Kabul.

La situazione rimane difficile anche in altri contesti, come il Sultanato di Brunei, dove le alternative sono i 30 anni di carcere o la frusta; la

Malesia, dove invece ci sono i 20 anni o la fustigazione; oppure le Maldive, dove le possibilità restano sempre le stesse con la sola differenza di una possibile minore detenzione, intorno agli 8 anni.

Lo stesso si rileva anche in alcuni Paesi dell’Oceania, come la Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone, dove si rischiano 14 anni di carcere.

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